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Indicazioni per i genitori

Comprendere e migliorare la comunicazione

Come è noto, la comunicazione per chi è affetto da disturbi alimentari comporta una difficoltà significativa. Essa non è solo conseguenza dei sintomi da malnutrizione, ma è principalmente riconducibile a complesse dinamiche emotivo-relazionali. Sbalzi di umore, irritabilità e tendenza all’umore depresso spesso caratterizzano la tonalità emotiva della persona sofferente, con effetti non trascurabili nell’ambiente familiare. Si innescano spirali di incomprensione e aggressività verbale che, non di rado, esitano in atti di aggressività fisica. La persona affetta da disturbo alimentare presenta una fenomenologia sintomatica complessa: chiede, attraverso comportamenti apparentemente contraddittori, aiuto.

L’intolleranza ad un confronto spesso diventa realtà; la persona sofferente si rifugia in un mondo fatto di silenzi e negazione del proprio problema, suscitando nell’interlocutore reazioni che oscillano tra rabbia, frustrazione  e scoraggiamento.
La sofferenza di chi è affetto da questo tipo di patologia è una realtà che si evidenza in ogni momento, nella salute fisica e negli aspetti psicologici. Il contesto familiare non è l’unico luogo in cui si presentano le difficoltà. L’ambito scolastico, sociale, lavorativo diventano ulteriori spazi in cui emerge progressivamente una particolare difficoltà ad interagire.

Presi da una spirale devitalizzante, evidente sul corpo e su modalità di pensiero, le persone affette da disturbi alimentari compromettono le proprie perfomance in contesti importanti della propria vita.
L’ambito familiare, luogo privilegiato, perché caratterizzato da relazioni specifiche, può promuovere un aiuto significativo perché si acquisisca consapevolezza del problema, dell’importanza e della necessità di intraprendere un percorso di riabilitazione e di cura.

Cosa fare e cosa non “dire”

Stimolare la persona con disturbo alimentare a riflettere sulla problematica presente non appare, in un primo momento, compito semplice. Tollerare le frustrazioni che possono presentarsi  nell’affrontare discorsi in questo ambito diventa essenziale. Inoltre parlare di cibo, ad esempio mentre si è a tavola, significa innescare reazioni di chiusura e rabbia, dando vita a discussioni sterili. È auspicabile promuovere l’argomento in un momento diverso, in cui gli stati d’animo (di genitori e interessato) non siano caratterizzati da intensità emotiva.

Evidenziare le condizioni fisiche comporta spesso l’interruzione della comunicazione. Sottolineare le proprie preoccupazione sullo stato del familiare sofferente ed allargare il discorso alla qualità di vita e alle difficoltà che si presentano in vari ambiti sono iniziative che stimolano un contatto più centrato sulla vicinanza e la condivisione

L’uso di espressioni che possono innescare sensi di colpa o critiche produce reazioni negative, ad esempio di chiusura e vergogna, che si estendono oltre i confini familiari.
Una buona comunicazione deve essere orientata a ridurre il vissuto di incomprensione del soggetto sofferente e a promuovere la sua libertà di espressione. In tal senso, evitare espressioni caratterizzate da giudizio può essere un passaggio cruciale che consente al soggetto di accedere ad una prima consapevolezza del problema.

Quando la persona affetta è maggiorenne, come aiutare?

Dimostrare alla persona interesse, consapevolezza della sua sofferenza e desiderio di voler comprendere meglio questa realtà promuove la presa di coscienza del fatto che da soli non si può risolvere il problema.
Condividere iniziative che riguardano la ricerca di strutture e personale specializzati, fornendo i materiali raccolti, o cercare insieme tali informazioni sono interventi che spesso producono interesse e reazioni positive.
Si può promuovere l’iniziativa, se la persona lo desidera, di recarsi insieme a conoscere le realtà specializzate, sottolineando la propria disponibilità ad essere coinvolti in possibili percorsi di cura o riabilitazione.

La terapia e il ruolo dei genitori nel percorso di cura   

Offre ai genitori uno spazio pensato per accogliere i loro dubbi e colmare l’assenza di informazioni sulla realtà del disturbo alimentare diventa essenziale nel percorso di cura e riabilitazione.
Inoltre si cerca di comprendere quali difficoltà possano essere presenti nella comunicazione all’interno del contesto familiare. Si attivano riflessioni e strategie di intervento che possano permettere il recupero dell’equilibrio nell’intero sistema.

I genitori chiedono di avere sostegno, informazioni, indicazioni su come comportarsi con i propri figli; la loro richiesta è prevalentemente dettata da preoccupazioni inerenti alla salute fisica e dal bisogno di controllare e intervenire sul piano strettamente alimentare.
È evidente che tale situazione crea un disagio significativo all’interno dell’ambito familiare;  per questo motivo è fondamentale che tutti i componenti del nucleo siano coinvolti e resi partecipi.

Si tratta, dunque, di avviare un’operazione di contenimento pedagogico e di promozione di uno spazio di riflessione sul disagio psicologico, partendo dal malessere di chi è affetto da un disturbo alimentare. La logica di questo percorso risponde ad un criterio rieducativo o correttivo di probabili comportamenti presenti nel sistema familiare, oltre a fornire strumenti che possano consentire ai genitori di minimizzare il rischio di colludere con interazioni che innescano la ripetizione e il consolidamento del disturbo alimentare.

Si presenta, dunque, la necessità di attivare un programma di lavoro stabilendo, quando possibile, obbiettivi da raggiungere attraverso percorsi, ora condivisi, ora separati, in un progetto di cura o riabilitazione che veda il coinvolgimento dell’intera equipe multidisciplinare.
L’apertura dello spazio dedicato alle famiglie ha un considerevole effetto di alleggerimento della tensione all’interno del nucleo familiare, non soltanto perché viene offerto un luogo dove le ansie del genitore possono essere espresse e contenute, ma anche perché i figli sono confortati dal fatto che i genitori stessi sono coinvolti.

A cura del Dott. Valerio Galeffi

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